FOSSO GRANDE: l’Incoerenza del Comune di fronte a una scelta cruciale

FOSSO GRANDE: l’Incoerenza del Comune di fronte a una scelta cruciale

PESCARA – La gestione del territorio e la risposta ai sempre più frequenti eventi climatici estremi richiedono approcci innovativi e interdisciplinari. Eppure, il dibattito che emerge dalla Commissione Lavori Pubblici su Fosso Grande del 21 maggio, rivela una potenziale incoerenza tra le strategie dichiarate dall’amministrazione e la pratica progettuale adottata, in particolare per quanto riguarda la necessità della rinaturalizzazione e il mancato approccio concertato con gli uffici preposti come quello dell’UFFICIO TRANSIZIONE ECOLOGICA E VALORIZZAZIONE DEL MARE E DEL FIUME.

Fosso Grande da tempo è stato trasformato in un canale interrato, di fatto un “tubo” negli ultimi 200 metri. Questa trasformazione, unita a interventi urbanistici anche nel comune di Spoltore, ha aggravato la situazione idraulica. La conseguenza diretta è che quest’area subisce allagamenti di vasta portata circa ogni 5 anni. Le richieste di risarcimento per i danni sono frequenti e ingenti, e la gente che abita nella zona vive nella paura ogni volta che piove.

Per affrontare l’urgenza e non perdere un finanziamento di 5 milioni, l’ufficio tecnico sembra orientato verso una soluzione veloce, basata su un intervento di ingegneria idraulica tradizionale: la costruzione di uno scatolare di grandi dimensioni, essenzialmente un nuovo “tubo”, un raddoppio di quello esistente.

Tuttavia, questa soluzione non è stata pensata coinvolgendo altri interlocutori, l’approccio è stato semplicemente a livello idraulico, raddoppiando la portata appunto del tubo, non portando il problema a un livello superiore, cioè a quello di gestione di un territorio la cui resilienza deve essere aumentata e ripensata. Tra l’altro pensare che il semplice raddoppio possa recare sicurezza, potrebbe essere anche molto pericoloso, portando un falso senso di sicurezza nella popolazione. Cosa accadrebbe in un evento estremo? Probabilmente un disastro, in quanto la portata determinata di un doppio tubo è appunto limitata. Superato quel limite l’allagamento non avrebbe piani B.

L’alternativa: la rinaturalizzazione come necessità strategica – Contrariamente all’approccio “grigio” proposto, va invece ricordata la necessità e la validità di un intervento di rinaturalizzazione, considerando il fosso non solo un tubo ma una infrastruttura blu. I benefici della rinaturalizzazione includono:

  • migliore gestione idraulica: l’infiltrazione dell’acqua nel terreno e la vegetazione rallentano la corsa della stessa, aumentando la capacità di assorbire eventi imprevisti. Esempi come quello di Valencia e dell’Emila Romagna mostrano come opere rinaturalizzate abbiano una resistenza differente rispetto alle “opere cosiddette grigie”, che contribuiscono invece ad aumentare i danni;
  • benefici ecologici e paesaggistici: oltre all’aspetto idraulico, ci sono una serie di altre azioni positive, migliorando il paesaggio e la salubrità;
  • flessibilità progettuale: la rinaturalizzazione non implica solo un canale aperto, ma può includere tratti rinaturalizzati, laghetti naturali dove possibile, infiltraggio acque;
  • rigenerazione urbana: la rinaturalizzazione può trasformare un posto brutto di periferia, in un elemento di un parco fluviale, seguendo l’approccio di far diventare i fossi degli “attrattori”. Se c’è possibilità di avere un finanziamento importante di 5 milioni, perché non provare ad approcciare il tema come un potenziale progetto di rigenerazione urbana per la periferia?

Invece di rafforzare strutture esistenti, perché non valutare di adattarsi al sistema naturale, lavorando ad esempio per togliere o disperdere a monte i 30 m³/s di acqua che arrivano al fosso?

Ma nonostante il Comune abbia nei suoi “piani di indirizzo” la naturalizzazione dei fossi e abbia istituito un ufficio dedicato alla Transizione Ecologica, segua un Piano del Verde con il coinvolgimento di un’università di Macerata, e partecipi al programma LIFE A green net +(che ha visto investimenti significativi, anche economici, per la formazione proprio su queste tematiche), questi uffici e collaboratori non sono stati interpellati nella linea progettuale verso un approccio concertato e interdisciplinare. Perché?

Sembra che ci siano due visioni totalmente differenti all’interno della stessa amministrazione e una chiusura a utilizzare le risorse e le consapevolezze già disponibili internamente. Viene quasi da pensare che l’ufficio di Transizione Ecologica, che non viene coinvolto in progetti cruciali come questo, esista solo per farsi belli nei convegni e nelle piazze. Lo strumento del Contratto di Fiume dovrebbe tra l’altro facilitare la concertazione intercomunale, necessaria con il Comune di Spoltore.

Una scelta politica cruciale – Spesso in questi casi ci si rifugia dichiarando che le scelte le fanno i tecnici, eppure diventa una scelta politica non utilizzare l’interdisciplinarietà e ignorare gli strumenti gia disponibili. Ignorare questo approccio non solo contraddice le linee guida dichiarate dal Comune, ma rappresenta anche una potenziale mancata opportunità per una soluzione più resiliente, ecologicamente sostenibile e capace di trasformare positivamente un’area periferica, adattandosi al futuro anziché replicare gli errori del passato che hanno portato alla situazione attuale.

Simona Barba – Consigliera Comunale AVS-Radici in Comune